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È indubbio che in questa fase, più che in altri momenti della nostra storia contemporanea, l’acuirsi degli eventi di guerra che si combattono in territori quasi a noi limitrofi, desta gravose preoccupazioni in merito a ciò che potrà avvenire.
In vero, l’informazione erogata dai media nazionali e di settore appare alquanto sistematica e puntuale talché, ad esempio, gli aggiornamenti continui permettono all’opinione pubblica di avere una visione generale sul divenire dei due conflitti che, al momento, interessano l’Europa più da vicino, ovvero quello Russo/Ucraino e quello della Striscia di Gaza.
Ciò detto, ne discende una considerazione, utile e, se vogliamo, configurabile anche di servizio. Cioé: ad un procedere lineare dei flussi di notizie che i media, nel loro insieme, riescono a diffondere, non sempre corrisponde un adeguato riscontro, in termini di valenza delle notizie divulgate, da parte della stessa opinione pubblica. Essa, sembrerebbe, assumere (nel caso di cui sopra) le notizie di guerra alla stessa stregua di qualsiasi altra informazione mediatica. Di fatto, ad esito della continuità di erogazione dell’informazione, la percezione dei destinatari tende a consolidare uno dei rischi più problematici delle comunicazioni di massa di questo nostro tempo: il mancato distinguo tra ciò che è più importante (nella fattispecie, le questioni belliche in atto) e quanto possa esserlo, in questa fase, molto di meno (ovvero, le varie cronache della politica di consumo, il gossip, lo sport, e così dicendo).
In altri termini, la miscellanea delle informazioni diramate dai media, a fronte del debole filtro che, per varie ragioni, non connota adeguatamente i processi di discernimento del singolo fruitore degli stessi media, eleva il concreto rischio di assimilazione, ad esempio, dello spettro di una potenziale guerra nucleare tra potenze nazionali pronte a tutto per l’intento di fare valere le proprie ragioni, con storie di coppie scoppiate o con cronache mondane di questo o quell’altro ambiente.
Tale rischio, latente ed insidioso, è fortemente prevedibile, se non già in essere.
Sul cosa fare per ovviarvi, è onere complesso che, in ogni caso, resta in capo alle responsabilità di tutti noi!
Giancarlo Caroleo
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Le dinamiche delle relazioni mutano e si adeguano, condizionate dai tempi, dalla mentalità, dalle consuetudini. Ciò è noto. Ma, di meno, è la consapevolezza che stia degradando, in modo forse irreversibile, il senso della presa in carico, nel senso lato, a partire dalle determinazioni consapevoli e di responsabilità ancorché riferite alle comuni prassi della quotidianità.
Tale assunto, apparentemente retorico è, in vero, assai realista e facilmente verificabile, su più livelli, tanto da diventare una costante che si reitera e si autorigenera con sistematicità.
Semplice esempio ne è, tra gli altri, l’aneddoto qui raccontato: Tizio, datore di lavoro, attraverso un’apposita riunione con i suoi dipendenti (alias collaboratori), intende illustrare l’introduzione di un nuovo Modulario raccolta dati. Immediatamente, a fronte dell’inizio della presentazione, ancor prima che il medesimo si accingesse ad illustrare presentare la cosa, quasi tutti i presenti manifestano infondate perplessità e dubbi senza avere, di fatto, alcuna contezza dell’oggetto. Tizio, pertanto, tentando di conseguire l’intento, procede, cercando di spiegare al meglio la novità. L’esito è stato il seguente: adozione forzata dell’innovazione, atteggiamento incredulo dei dipendenti, calo dell’entusiasmo.
Ecco ora, la stessa scena, però, con una variante: Tizio, nel presentare l’innovazione, aggiunge al suo dire, in maniera diretta, la seguente frase: il Modulario contiene le stesse cose del precedente… Eccone l’esito: approvazione, entusiasmo, condivisione!
Tutto ciò (…esempio del racconto…), come può essere possibile? Per davvero la fragilità delle idee e della capacità di autodeterminarsi è così dilagante, talché necessita sempre di rassicurazioni di ciò che è stato fatto, prima e/o da altri, onde evitare di assumersi la responsabilità di scegliere consapevolmente, se non sulla scia di quanto già definito in passato e/o scelto da altri, per proiettarsi verso …un dopo? Purtroppo, parrebbe di si!
Giancarlo Caroleo
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Per varie ragioni la data fatidica del 15 agosto è percepita, dai più, come uno spartiacque, quasi un prima e un dopo.
A partire dalla seconda quindicina del mese, infatti, inizia la fase di preparazione emotiva ed economica, per poter affrontare un nuovo ipotetico anno che, mentalmente, non coincide con il primo giorno del mese di gennaio, bensì con il primo giorno di settembre!
Agosto, più che essere il periodo dello svago e del riposo, artificiosamente acclarato come tale dalla debole industria del Turismo di massa che, per lo più in Italia, è più protesa verso un’utenza straniera e facoltosa, è il tempo in cui si tirano le somme di ciò che è stato e di quello che sarà o potrà essere…
Ad agosto riemergono le ambizioni, i buoni propositi, la fiducia verso un dopo che, per le ragioni più note, è spesso triste ed incerto.
Tutto ciò, tra i clamori di quanti ostentano serenitas et remedia, mentre sembra che tutto, intorno a noi, stia degradando.
Ebbene, vinca il senso del futuro, convincendoci che, forse, il meglio…sarà!
Giancarlo Caroleo
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Su iniziativa del giornalista badolatese Domenico Lanciano (detto Mimmo), presso il Centro Polifunzionale della Cultura di Davoli Marina, nel pomeriggio del 21 u.s., ha avuto luogo la celebrazione della Festa del Nome Italia. Principale partner, per l’organizzazione dell’evento, è stata la locale Biblioteca Pubblica (fondata e gestita dall’Associazione dei Vincenziani), presieduta dal Prof. Aldo Marcellino.
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Che l’indifferenza sia stata considerata, da sempre, strumento coercitivo e di reazione, così come alla stregua di un’arma difensiva, ovvero d’attacco (nelle dinamiche più raffinate), è un dato di fatto. Altrettanto vero è che la dimensione dell’indifferenza medesima, nella sua più complessa definizione di specifica condotta morale, etica od anche strategica, attiene (e debba realizzarsi, semmai), solo all’interno delle relazioni personali e private, luoghi a ciò deputati o deputabili, salvo eccezioni di sorta.
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Ordinariamente, il concetto di “Perequazione” si inscrive in ambito contabile/amministrativo, di fatto distante dalla sfera valoriale e delle relazioni umane. Più raramente, l’idea di “Perequazione”, si rende aggettivabile nel perimetro di una sua ulteriore dimensione plausibile: quella etica. Il percorso comunicazionale che renda ancorché possibile la sublimazione lessicale del termine “perequazione”, nel suo diretto passaggio da concetto contabile/amministrativo ad idea valoriale, presuppone la scansione di una serie di implicazioni di ordine morale, sociale e antropologico di non semplice declinazione, né tantomeno di comodo asservimento esistenziale. In altri termini, l’idea complessa (neppure il “concetto”, si badi…) di Perequazione etica, determina la necessità di imbattersi nella difficile determinazione di priorità e scelte, nel loro insieme di connotato prevalentemente morale, tali che, necessariamente, l’ambito della sua (Perequazione etica) relativa dialettica, individuale e/o condivisa, elevi in maniera esponenziale il rischio della deriva verso l’angoscia della paludosa consapevolezza “del sé”, anche in rapporto all’esistenza “dell’altro”.