“Partecipazione, colleganza, senso di cittadinanza, zelo…”: alti Valori, di nobile taglio, riconducibili alla categoria più evoluta del senso della cittadinanza. Nulla questio. Ma, ad una condizione: la Buona Fede! Non è certo un fatto che va dato sempre per scontato. E’, della cosa, invece, il prerequisito: la conditio sine qua non affinché quanto sopra virgolettato non sia una mera reclame retorica, bensì una vera ed autentica categoria della “cittadinanza” succitata.
“Ovvietà” è l’appunto che si potrebbe muovere all’assunto sopra puntualizzato; ma, le “ovvietà”, sono un fatto “assodato” che, di questi tempi, più che mai non corrispondono alla certezza che una “ovvietà”, in sé, implica. Piuttosto, nella netta temperie di slogan e lanci più afferenti alla demagogia che al buon senso, di cui parte della società che “abbiamo” costruito si nutre, le “ovvietà” che dovrebbero ingenerare “buone pratiche”, si traducono in “ovvietà” che determinano situazioni, ahimè, non raramente opposte a detta prospettiva! In questo panorama, tuttavia, spuntano “iniziative che animi sensibili pongono in essere per…”, oppure “azioni di sensibilizzazione a…”, e così via! Comitati e raggruppamenti, centri d’opinione e convivi associativi, gruppi trainanti e quant’altro ad essi assimilabile… Insomma, un divenire crescente di “azioni… di promozione di….”. Sembrerebbe un ottimo risvolto delle dinamiche del “vivere comune”, quasi un affrancamento naturale di una società che ha assimilato uno status di crisi ormai consolidato che si trascina dagli anni settanta, un “grande passo in avanti”. Ma, il dubbio sta proprio nel “sembrerebbe”: è un “sembrerebbe”, oppure un “essere”? Dagli esiti oggettivamente riscontrabili, quale frutto dello “zelo” sopra mappato, probabilmente si potrebbe propender più per il “sembrerebbe”. Si, un “sembrerebbe” che si definisce per le ragioni dell’insorgere dello “zelo diffuso”, non sempre supportato da motivazioni autenticamente riconducibili al “bene comune”, così come dovrebbe essere e come il vero senso di cittadinanza imporrebbe. In effetti c’è un fondato dubbio, suggellato da fatti concreti, che certe forme di “zelo sociale” non si caratterizzino per l’immagine che esse stesse vorrebbero mostrare, ma possano tradursi in strumento di “interessi altri”, non coerenti con quanto “mostrato” ed ostentato per “bene comune”. In altre parole, non è raro riscontrare incoerenza tra il fine invocato ed il fine reale.
Dunque, il fenomeno dello “zelo sociale”, in sé, necessità di essere oggetto di una riflessione più puntuale e, di conseguenza, di rappresentarsi anche quale oggetto di valutazione per la sua fenomenologia. Ciò, per l’interesse stesso dei promotori delle varie iniziative aggegazionistiche che da qualche tempo, pare, sorgano un po’ in ogni dove! Siamo passati, così, dall’associazionismo “ideologico” degli anni settanta che accomunava o divideva per le ragioni della politica a quello “culturale” (o pseudo tale) degli anni ottanta/novanta, tempo in cui pullulavano varie iniziative associazionistiche che, sebbene in forma legittima, si mantenevano con varie forme di contributi pubblici (ragione stessa per la quale, forse, nascevano a iosa…), periodo nel quale chiccessìa riteneva di poter essere “Presidente” di qualcosa, autoproclamandosi tale ed organizzando, in tal senso, con tanto di seguito! Poi quello degli anni duemila, fino ad oggi, in cui la stretta dei contributi pubblici generosi ha modificato quell’idilliaco contesto in cui ci si trovava limitando, sì, il perimetro del fenomeno ma, perpetuandone le dinamiche!
Visione pessimistica? Speriamo essere tale e che la realtà sia o possa essere…un’altra storia!