Se è vero, per come si dice, che di cultura e conoscenze non siamo ai primi posti essendoci, via via, smarriti in percorsi di formazione che evidentemente hanno mirato poco all’essenza e più all’apparenza, sarebbe altrettanto difficile (o troppo facile!) spiegarsi alcuni fenomeni di “bassa comunicazione” che, di fatto, rischiano di trasformarsi in categorie dell’essere, con immancabili ricadute nella quotidianità. In altri termini, penso che non sia tanto plausibile poter inscrivere alcuni vezzi che ormai ci caratterizzano nelle dinamiche reali che segnano i livelli generali della formazione che ciascuno, di base, dovrebbe avere.
Ad esempio: è cosa certa il gap che segna la conoscenza generalizzata dell’arte (nella sua storia e nel suo divenire nella dimensione della pittura, della scultura, dell’architettura, della musica…), mancando una sistematica alfabetizzazione diffusa soprattutto tra le giovani generazioni. E così per altri settori, quali informatica avanzata, tecnologie dei materiali e quant’altro si possa elencare… Dunque, per tornare all’arte nella sua accezione più ampia, ne discende che, immancabilmente, non possa essere altrettanto diffusa e conseguita la categoria del gusto estetico, della raffinatezza del pensiero, della sensibilità, della consapevolezza della duttilità e dell’eterogenicità della comunicazione. Ebbene, è legittimo trovare oggettive difficoltà nello spiegarsi per quale ragione, nella dimensione della quotidianità (tanto per fare un concreto riferimento a quanto può discendere dalla generalizzata conoscenza ed acquisizione delle categorie dell’arte!), è consueto che di fronte dalla scelta di una semplice mattonella da bagno alla scelta di un modello di autovettura piuttosto che la scelta di un vestito o di un paio di scarpe da acquistare, “tutti” trasecolino e facciano delle scelte rispetto alle categorie (in questi casi fittizie) del “mi piace”, “questa sta meglio, è a tono”, “è elegante e si addice”, “ha un taglio particolare”! Cioè, vorrei trovare una ratio tra la categoria (legittima, in sé) della scelta selettiva di tipo esclusivo (scelgo questo ed escludo quest’altro, perché ritengo di…) e la matrice che origina la consapevolezza rispetto alle scelte medesime, atteso che le “scelte” si vogliono, ormai, rappresentare anche in maniera faziosa, apparendo infarcite di giustificazioni di ordine estetico, categoriale, discriminatorio per le qualità esterne e/o intrinseche che non trovano giustificazione in forme di conoscenza “ex ante” altrettanto. In altri termini, registro tra me e me che è faticoso individuare una giustificazione di consapevolezza rispetto alla criteriologia diffusa che segna le selezioni invocando motivazioni che, per essere tali, dovrebbero essere supportate da una consapevolezza che regni “a monte” e che si sostanzia da apprendimenti cognitivi consolidati e concreti, sebbene nel fisiologico ventaglio della “diversificazione dei livelli” e non da una presunzione di facoltà di discernimento fondata praticamente… sul vacuo. Come se, in pratica, chicchessìa andasse a scegliere una muta per sub, tra le tante disponibili in un allestimento immaginario, escludendo questa o includendo l’altra, senza saper nuotare!