Un antico proverbio, saggiamente, recita che “… il silenzio è d’oro”. Ancora: se in musica non ci fosse il silenzio, la musica stessa non potrebbe esistere: verrebbe meno il ritmo. Tacere è segno di buona educazione, allorquando il silenzio è dovuto.
Altra riflessione: la quiete è silenzio ed il silenzio determina, in certi contesti, un clima relazionale adatto per determinate circostanze (s’immagini il silenzio ispiratore di un convento o la quiete di un’abbazia, così come la parola non pronunciata del saggio o l’ispirazione del poeta!). Dunque, il silenzio assume valenza di “categoria” che, di per sé, si rappresenta come forte dimensione emotivo-comunicazionale.
Bene. Ma, in questo nostro tempo, in cui indifferenza ed apparenza non più raramente ne fanno la “nota caratteristica”, il silenzio assume una valenza ancorché “sinistra”, rappresentandone come, appunto l’altra faccia: si traduce essenzialmente in “Non parlo, non ti rispondo, faccio finta di non sentire, per me non esisti perché con te ho chiuso…”, ovvero, come la modalità più becera che possa prendere forma in un qualsiasi modello comunicativo e relazionale interrotto intenzionalmente o non intenzionalmente.
Sicchè il “ Silenzio del … non partecipo”, appare chiaro, nulla ha a che vedere con il “Silenzio della musica, della riflessione, della meditazione”. Questa differenza è una costante che segna chi sensibile, rendendolo più consapevole delle “miserie” che spesso fanno sopraffazione. Cioè, la triste consapevolezza dell’idea del “ Silenzio … non partecipo”, che si mostra anche come una “misera” esibizione di arroganza ed immaturità, per chi ha il vezzo di rispondere con il “non dico”, anche per sua comodità e per deresponsabilizzazione del proprio agire!”
Questo apparente panegirico, carissimi lettori, è un invito a “dire .. per farsi capire”, ma con trasparenza e linearità. Antitesi, ciò, della più comoda scorciatoia del “Silenzio .. non partecipo” che in verità, ha poco, anzi pochissimo, di assunto valoriale.
Se tra coloro che hanno (o vantano!) esperienze di vita vissuta con intensa partecipazione, talvolta e a mala pena sia sopportabile il “Silenzio...non partecipo” (anche strategico, traducendosi pure quale segno di saggezza, perché la vita nel suo divenire determina situazioni che facilitano tale fenomenologia), è auspicabile che i più giovani, ovvero tutti quelli che hanno consapevolezza dell’importanza della relazionalità quale modalità necessaria per l’interazione con gli altri, ne stiano alla larga!
Essi avranno (come speranza di…) buona volontà nell’evitare di cadere nella “trappola del silenzio”: parlate, parlate e raccontatevi, parlate raccontandovi e raccontando degli altri.
Mi rivolgo ai ragazzi, giovanissimi (ed ex tali): smettetela di comunicare tacendo. Dite e sarete ascoltati. Ascoltate per poter dire. Insomma, non vi sottraete allo scambio!
Fare questo è “fare con intelligenza”. Non farlo non è “cosa di persone che non utilizzano l’intelligenza di cui madre natura li ha dotati”.
Pena, l’auto esclusione!