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Di tanto in tanto è utile, ancorchè necessario, soffermarsi su dettagli e particolari che, apparentemente privi di senso, di fatto sono fondamentali!
Ne è autorevole esempio ciò che, annoverabile quale “Inconscia sublimazione”, si verifica quasi con sistematicità a fronte di valutazioni di merito su dinamiche e processi correlati al quotidiano/sociale di ciascuno. Trattasi, in buona sostanza, delle circostanze nelle quali, anziché stigmatizzare situazioni e/o dinamiche che sono causa e origine, si tende a decentrane la loro individuazione, trasponendo erroneamente la causa all’effetto.
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Premetto che non tratteremo cose di Economia (quella…dei soldi), ma di Economia del “Saper essere”, disciplina per la quale, forse, non ci sono specifici trattati, né modelli di riferimento, bensì solo ed esclusivamente tratti di buon senso da individuare, definire, elaborare, adottare e testimoniare!
In tale contesto, quindi, si ingenera la problematica connessa alle inflazioni. Anche in questo caso, sebbene in analogia con le questioni monetarie, si tratta di inflazioni della relazionalità e del buon modo di vivere i rapporti con se stessi e con gli altri.
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“Sono così e basta”: bell’affermazione. E’ sintomo di forza, di linearità, di autoderminazione. Oppure no?
E’ un quesito di difficile soluzione. La definizione dei comportamenti in codici inamovibili non è un facile esercizio. E’, addirittura, assai difficoltoso: c’è la Persona, ed il suo modo di essere. E’ certa, però, una cosa. E, cioè, che essere “tutto di un pezzo” non è mai una modalità vincente, anzi si traduce in una forte criticità relazionale, anche in considerazione delle realtà che, di per sé, non è rigida e neppure plastica; anzi, è tutt’altro!
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C’è chi crede fermamente che vivere la propria esistenza equivalga a svolgere, ad libitum, un “gioco delle parti”, laddove per “parte” si intenda essere la propria dimensione umana ed esistenziale.
Ebbene, in linea di pura teoria tale “credo” non distorce, né confligge con la fenomenologia delle dinamiche sociali, e neppure contrasta con quello che, ad uso comune, viene a definirsi “progetto di vita”.
L’elemento di rottura, che assume pure valenza devastante, è invece l’idea che il “gioco delle parti” cui l’uomo cosiddetto “sociale” di rimette, sia la vera dimensione esistenziale della vita stessa e, per questo, il perimetro di azione dell’Uomo in quanto tale, anziché essere una sovrastruttura delle relazioni che fa da collettore alla pluralità delle manifestazioni dell’Essere.
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Se è vero, per come si dice, che di cultura e conoscenze non siamo ai primi posti essendoci, via via, smarriti in percorsi di formazione che evidentemente hanno mirato poco all’essenza e più all’apparenza, sarebbe altrettanto difficile (o troppo facile!) spiegarsi alcuni fenomeni di “bassa comunicazione” che, di fatto, rischiano di trasformarsi in categorie dell’essere, con immancabili ricadute nella quotidianità. In altri termini, penso che non sia tanto plausibile poter inscrivere alcuni vezzi che ormai ci caratterizzano nelle dinamiche reali che segnano i livelli generali della formazione che ciascuno, di base, dovrebbe avere.
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“Partecipazione, colleganza, senso di cittadinanza, zelo…”: alti Valori, di nobile taglio, riconducibili alla categoria più evoluta del senso della cittadinanza. Nulla questio. Ma, ad una condizione: la Buona Fede! Non è certo un fatto che va dato sempre per scontato. E’, della cosa, invece, il prerequisito: la conditio sine qua non affinché quanto sopra virgolettato non sia una mera reclame retorica, bensì una vera ed autentica categoria della “cittadinanza” succitata.