E’ meglio prendere un palo o segnare un goal? Chi lo sa. Ma, resta certo che il dubbio sulla piacevolezza degli eventi suddetti è tutta da considerare. Infatti, se alcuni propendono per l’assunto secondo il quale, in ogni caso, segnare il goal rispetto a colpire un palo sia il non plus ultra, secondo altri le cose stanno esattamente all’opposto.
Si, proprio all’opposto, atteso che quest’ultima determinazione sia la sintesi figurativa di un modus vivendi che può ingenerarsi nelle logiche della relazionalità e della cognitività.
E’ chiaro: il dilemma “meglio un palo che un goal” va considerato in una più ampia cornice, superando i limiti della sua significanza letterale o, ancor peggio, della sua dimensione squisitamente calcistica.
Il senso è altro: trattasi in effetti di indurre verso un processo di valutazione dei fatti e delle cose che, concettualmente, si configura nei termini della dialettica “prospettiva per…” e “azione di…“. Sicché, procedere verso la dimensione dell’operatività intesa nella prospettiva dell’agire secondo una progettualità razionale e che in sé assume i valori del fare finalizzati, a prescindere dagli esiti (o meglio, senza tener necessariamente dell’esito/successo), si determina quale momento di passaggio rispetto ad una logica del fare solo ed esclusivamente in funzione del conseguimento dell’obiettivo.
Tanto detto, entra in gioco il sistema valoriale del singolo e del gruppo che disciplina le scelte di prospettiva. Chè, nella ratio del vivere la quotidianità, anche se involontariamente o senza piena consapevolezza, significa necessariamente, determinarsi e definirsi in termini di scelte e di azioni.
In altri termini, la scelta di “agire” (s’intende, bene…) anche con il rischio di conseguire un palo e non la scelta di agire (s’intende, anche questa volta, nell’intenzione, bene…) “solo a condizione di conseguire il goal”, è in effetti ciò che fa differenza tra gli uni e gli altri.
A questo punto sta a noi, proiettarsi verso l’esser gli uni o gli altri.