E’ cosa nota che l’atteggiamento dell’ostentazione, di per sé, è sintomo di condizioni emotive configurabili nell’alveo dell’insicurezza, della fragilità, della superficialità od anche, in alcuni casi più complessi, di frustrazione ed interferenze relazionali.
E’ altrettanto cosa di dominio comune che il riconoscimento dell’autorevolezza della persona, per essere tale ed autentico, deve venire dal contesto prossemico e non essere riflesso di proprie ed autonome valutazioni del soggetto interessato.
Ora, al netto delle suesposte premesse di carattere generale, utile e funzionale esercizio relazione potrebbe essere quello di fondere entrambi gli assunti, al fine di determinare l’ambito entro cui ciascuno ha modo di gestire positivamente le interazioni sociali e la dimensione del “dire, dare e ricevere” rispetto, appunto, agli “altri”.
Tutto questo, per giungere ad una determinazione: il rischio della deriva relazionale in assenza di adeguata consapevolezza di sé, in rapporto agli altri, ad esito del fraintendimento dei codici della stessa comunicazione. Più semplicemente, il nodo è il seguente: in questo nostro tempo, in cui social ed informazione corrono su velocissime autostrade digitali, diventa essenziale acquisire, ex ante, adeguati strumenti di conoscenza e, immediatamente dopo, di consapevolezza critica, al fine di sapere gestire la relazionalità di cui, ciascuno, è legittimo titolare. In mancanza, la determinazione opposta prenderebbe il sopravvento e, cioè, quella per la quale l’Uomo di massa, nella sua più miserrima accezione, possa divenire non “Un modello”, bensì “Il modello” di interazione socio/relazionale.
E, per tale perseguimento, gli strumenti delle conoscenza coincidono con il corretto apprendimento, ad esito dei processi di riflessione guidata, magistralmente, da autorevoli tutori o meglio, socraticamente detto, “levatori di sapere”.
Il forte rischio che oggi corriamo, anzi che i più giovani si trovano a dovere affrontare, è la passiva assuefazione a modelli e stereotipi tipici della “Società liquida” (così definita da autorevoli filosofi contemporanei) che via via, paradossalmente, si struttura e si consolida, dilagando nella sua essenza informe, promuovendo impunemente dinamiche di subculture settoriali e soffocanti, improntate sull’indifferenza e sull’inedia intellettuale, sulla mortificazione (anziché la valorizzazione) della Persona, sulla promozione dell’effimero tout court.
Rimedio: attenzione, studio, ragionamento, emozionalità e cuore. Anzi, tanto cuore!!!
Giancarlo Caroleo