SPECIALE NATALE

IL PRESEPE ORIENTALE O STORICO

La scelta dello stile del presepe che si vuole costruire è condizionata dal tipo di statue che si ha a disposizione o che si ha comunque intenzione di acquistare.

Il presepe orientale o storico riproduce fedelmente gli ambienti, gli edifici, i personaggi, l’abbigliamento e gli oggetti tipici dell’età e del luogo in cui nacque Gesù. Si ispira alle Sacre Scritture, in particolare al Nuovo Testamento perciò tutto deve essere un richiamo al medio oriente: ambiente semi desertico, un villaggio di case di colore chiaro con muri grezzi spesso sormontati da tetti a forma di cupola, poche finestre, porte molto basse, tende arabe per i nomadi del deserto. Essendo quella zona occupata da Roma, sarebbe corretto aggiungere anche qualche soldato romano.

Gli elementi naturali sono pochi: niente muschio ma soltanto un’oasi con palme o piante grasse dove in genere vengono posizionati i Re Magi prima del 6 gennaio.

I personaggi, sotto forma di statuine, sono vestiti con abiti poveri e per nulla sfarzosi, indossano tuniche, vesti ampie, e sono a piedi nudi o calzati da semplici sandali. Cammelli ed altri animali orientali completano lo scenario.

Anche la grotta va abbandonata, al suo posto una capanna con tanto di mangiatoia.

Per avere a disposizione varie possibilità scenografiche e declinazioni è possibile adottare un momento particolare da riprodurre come ad esempio i temi della “Fuga in Egitto”, dell'”Annuncio ai pastori”, della “Visitazione”, della “Ricerca dell’alloggio” o semplicemente la classica “Natività”.

IL PRESEPE POPOLARE

Lo scopo di questa tipologia di presepe è la riproduzione delle varie scenografie legate alla Natività in un contesto in cui l’uomo moderno può riconoscersi.

Non soltanto riproduce con molto realismo le strutture urbane o rurali (borghi, fattorie, stalle) ma anche il popolo poiché comprende la rappresentazione dei mestieri artigianali curando con attenzione l'abbigliamento ed il costume del tempo.

Lo stile popolare prevede la realizzazione di un'ambientazione occidentale con piante ed edifici tipici della nostra cultura (gli edifici saranno con tetti in tegole, intonaci più raffinati, lavori tipici dei luoghi prescelti come ciabattino, macellaio, commerciante, fornaio ecc. con relative botteghe e cantine).

Il più famoso tra i presepi popolari è quello napoletano.

IL PRESEPE NAPOLETANO

Il Presepe Napoletano costituisce un fenomeno a sé stante con caratteristiche storiche, artistiche e tecniche uniche, una tradizione “Made in Italy” riconosciuta a livello mondiale.

La caratteristica di questo stile risiede nel realismo delle sue rappresentazioni, il presepe non è più solo un simbolo religioso ma uno strumento descrittivo, identificativo e unificante della comunità di appartenenza, nella sua dettagliata composizione.

Nella scena troviamo molti personaggi popolari, osterie, commercianti e case tipiche dei borghi agricoli.

I pastori devono essere realizzati rigorosamente a mano e, preferibilmente, vestiti con la prestigiosa seta di San Leucio.

La struttura deve essere a piani rispettando la proporzione quindi più si va in alto e più i pastori diventano piccoli.

Via San Gregorio Armeno è la strada del centro storico di Napoli, celebre per le botteghe artigiane di presepi, un luogo magico e imperdibile per gli amanti del presepe; qui si realizzano, durante tutto il corso dell’anno, statuine per i presepi, sia tradizionali che originali.

Solitamente ogni anno gli artigiani più eccentrici realizzano statuine con fattezze di personaggi che si sono distinti in positivo o in negativo durante l’anno corrente.

Il presepe è una tradizione profondamente radicata nell’animo del popolo napoletano.

COSA NON DEVE MANCARE NEL PRESEPE

L’ambientazione di ogni tipologia di presepe è rigorosamente notturna con una struttura a “scoglio” che allude ad un viaggio spirituale e piramidale dal cielo alla terra.

Il cielo notturno perciò dovrà essere stellato poiché è lì che troviamo la divinità, la stella cometa attraversa il cielo natalizio iniziandoci al viaggio misterico e mistico che stiamo per intraprendere.

Le luci illumineranno ogni ambiente, interno ed esterno.

L’elemento più importante del presepe è Benino o Beniamino, il pastore dormiente (guardiano delle pecorelle bianche) che solitamente viene posto all’ombra di un albero nel punto più alto della struttura.

Senza il pastorello che dorme beato, il presepe non esisterebbe: si dice, infatti, che sia lui a dare origine al presepe sognando “Guai a svegliarlo! Di colpo sparirebbe il Presepe.”

Seguono Giuseppe e Maria, i magi, i pastori, le pecore, il bue, l’asinello e gli angeli.

I venditori sono importantissimi e devono essere, secondo la tradizione, 12 ovvero uno per ogni mese dell’anno: gennaio è il macellaio, febbraio è il venditore di formaggio, marzo è il pollivendolo e così via fino a dicembre con il fabbro, il falegname, la lavandaia, il bovaro, l’arrotino, il fornaio, ecc.

Tra i negozianti spesso è presente il fruttivendolo con la sua bancarella, simbolo di ricchezza e abbondanza.

Altri personaggi importanti sono: il pescatore che ricorda San Pietro (il pescatore di anime), i due compari che giocano a carte, zi’ Vicienzo e zi’ Pascale (personificazione del Vizio e della Morte), la zingara cioè la donna che prevede il futuro e predice la passione di Gesù.

Personaggio non molto diffuso è Stefania, una giovane donna rappresentata con un bambino in braccio. La tradizione popolare narra che una giovane vergine chiamata Stefania, saputo della nascita del Redentore, si incamminò verso la grotta per adorarlo ma gli angeli la bloccarono in quanto non era permesso alle donne non sposate di far visita alla Madonna. Il giorno dopo Stefania prese una pietra, l’avvolse nelle fasce come se si trattasse di un bambino e, ingannando gli angeli, riuscì a raggiungere la grotta. Alla presenza della Madonna, miracolosamente, la pietra starnutì e si trasformò in un bambino che ebbe nome Stefano e così, da allora, il 26 dicembre, si celebra la festa di Santo Stefano.

Non manca mai nel presepe la locanda e con essa il vinaio.

Qui sono presenti vino e pane che sono i prodotti utilizzati da Gesù per l’Eucarestia.

Di fianco al locandiere c’è una figura singolare, legata al paganesimo: Cicci Bacco, retaggio delle antiche divinità pagane, che si presenta spesso davanti alla cantina con un fiasco in mano.

Non possono mancare inoltre gli elementi naturali dell‘acqua (ruscello, laghetto, fontana) e del fuoco (forno, carretto per le caldarroste), che stanno ad indicare il bene e il male perennemente in lotta.

Il centro della scena spetta a Gesù Bambino. Si pone, nella mangiatoia o nella grotta con il bue e l’asinello, la sera del 24 dicembre. La processione della mezzanotte è usanza irrinunciabile per molte famiglie. I pastori posti attorno alla mangiatoia/culla rappresentano l’umanità che si raccoglie attorno alla divinità. Gli angeli sono altro elemento immancabile, perché assistono alla manifestazione della divinità in terra e portano la parola del Signore e prendono posto sopra la grotta e alla mangiatoia.

Il giorno della Epifania (il 6 gennaio) arriveranno i tre Magi che in questo giorno saranno uniti ai personaggi della Natività.

Secondo la tradizione cristiana essi si mossero da oriente.

Si trattava di sapienti con poteri regali e sacerdotali. Il Vangelo non parla del loro numero, che la tradizione ha fissato a tre, in base ai loro doni, cui è stato poi assegnato un significato simbolico.

I magi sono: Gaspare (il più giovane che porta l’oro), Melchiorre (il più anziano che porta l’incenso) e Baldassare (nero poiché rappresenta l’Africa, che porta la mirra).

L’originale presepe catanzarese: U prisebbiu cchi si motica

L’usanza del presepe vivente a Natale ha a Catanzaro un curioso antecedente in un’istituzione particolare presente in città nel settecento e in voga fino alla fine del 1800, ossia “u prisebbiu cchi si motica”. Non si trattava però di un presepe tradizionale, anzi, pur svolgendosi in occasione delle feste natalizie, aveva ben poco dei caratteri soliti di sacralità e religiosità. Si trattava di una sorta di teatrino popolare che aveva come oggetto principale della propria rappresentazione scene di vita cittadina, personaggi locali un po’ strampalati, fatti accaduti nei quartieri, pettegolezzi ed episodi folkloristici, a volte anche volgari, adatti e apprezzati da un pubblico proveniente da rioni molto popolari e di bassa estrazione sociale.

Gli spettacoli di questo “presepe”, che si svolgevano senza un canovaccio prestabilito, non erano pertanto legati alla tipica storia del Natale; tuttavia la vicenda della nascita di Gesù, seppure in secondo piano, veniva utilizzata come sfondo a quelle storie bislacche, buffe e a volte un po’ scurrili in un misto di sacro e profano, di solenne e comico che ne facevano rappresentazioni uniche. Si poteva così sentir parlare in dialetto catanzarese i pastori, i monaci o addirittura i consiglieri del re Erode, si assisteva quasi allo scherno di Maria e Giuseppe da parte dei pastori, o era possibile che, come narra con gusto Giovanni Patari citando il prisebbiu nel libro “Catanzaro d’altri tempi: 1870-1920”, “La Strage degli innocenti di tradizione evangelica si univa alla Caccia dei briganti: presso la stalla di Betlemme stava il convento dei Frati cappuccini; il vecchio medico-prete don Ciccio Pelagi faceva la navetta dalla povera casa dell’artigiano a quella del ricco signore, padre della signorina Richetta votiti “e cozzu”. Insomma un’assoluta rivisitazione assai povera dell’aspetto liturgico e vicina per certi versi, come vedremo, alla tradizione del teatro dei pupi.

Anche la scenografia rifletteva un po’ il carattere parodico e misto di tali rappresentazioni. Spesso erano due le sezioni allestite: quella statica, al centro di un ampio locale, costituita dal comune tradizionale presepe e l’altra mobile, costituita da un tendone, dietro al quale operavano i cosiddetti “pupari”, cioè le persone che animavano le marionette, i pupi per l’appunto, muovendole attraverso le mani nelle vesti. Gli animatori, anch’essi spesso provenienti dal popolino, erano però particolarmente efficaci nell’affidare ai personaggi la dimensione tragicomica attraverso la perfetta coordinazione delle battute e del gesticolare riuscendo a rendere brillante l’azione. Il pubblico che era allegramente coinvolto nell’azione scenica di tali vivaci dialoghi, stava prevalentemente in piedi, visti i pochi posti disponibili a sedere (spesso su panche di legno). Dopo qualche tempo e per il grande numero di rappresentazioni giornaliere e serali, gli impresari dovettero assumere altre persone per un aiuto nelle esibizioni. Il costo d’ingresso agli spettacoli era di un grano, ossia quattro centesimi, poi si arrivò a un soldo.

Due di questi presepi moventi si trovavano, sempre secondo il racconto di Patari, presso la “Scinduta de i guccerii”, ribattezzata dopo il 1870 Discesa Principe Umberto (oggi via Giovanni Jannoni) e venivano gestiti uno dai fratelli Piraino e l’altro dai fratelli Chiriaco: erano i più rinomati, con palazzi che si illuminavano, porte che si aprivano e cascatelle spumose. Secondo Carlo de Nobili la paternità della creazione di tale teatrino andrebbe attribuita ai fratelli Frangipane (detti i Piraino per l’appunto) che lo avviarono nel 1793. Tali spettacoli furono ripresi dopo la prima guerra mondiale, ma fu un blando tentativo di ripristino, in quanto sempre gli stessi attori, ormai attempati, riproponevano un copione uguale al passato, essendo invece oramai mutati scenari, personaggi e condizioni sociali, per cui si rivelò un fallimento. Anche l’avvento del cinema contribuì ad accelerare il declino degli spettacoli. Gradualmente iniziarono a prender corpo nelle Chiese i presepi tradizionali, con pastori “mobili”, azionati da piccoli ingranaggi meccanici, case, cascate d’acqua e tutto quanto si addice ai “veri” presepi.

Di certo quella forma di spettacolo, impensabile oggi, era caricaturale (gli amministratori locali erano il principale oggetto di scherno delle invettive nei salati dialoghi), grossolana, ma forse per questo così amata all’epoca, appartenente a un passato di tradizioni ormai perse ma che descrivevano l’anima della città, la vitalità dei quartieri, lo spirito vitale delle piazze e della gente, così apprezzate da fare esclamare al Patari “…anche oggi, se io attraverso la Discesa Principe Umberto e guardo quelle botteghe dove quel presepe funzionava, tornano, con nostalgico desiderio, quei pupi al mio cuore e al mio pensiero”.