In ogni lingua esistono proverbi e modi di dire, le famose espressioni idiomatiche.
Sono quelle frasi che utilizziamo nel quotidiano per arricchire il linguaggio, per dare maggior peso alle parole o per esprimere un concetto attraverso un’espressione di senso figurato.
A differenza dei proverbi che forniscono un “insegnamento”, i modi di dire hanno senso solo se utilizzati nel momento giusto, per rendere più chiara l’idea.
Traggono la loro origine da abitudini, tradizioni o eventi passati, spesso ne facciamo ricorso pur non conoscendone l’origine o il motivo di quel significato, questo perché queste espressioni sono ormai talmente radicate da essere utilizzate nel linguaggio comune (diciamo ancora “mettere il carro davanti ai buoi” nonostante non si adoperano più i buoi per arare da molti anni).
Ciò che è chiaro è che molto spesso intendono un significato o un concetto non letterale, diverso da quello che sembra.
Abbiamo scelto 5 tra le espressioni più famose proprio per approfondirne storia e significato:
1 - A CAVAL DONATO NON SI GUARDA IN BOCCA
L’origine del detto risale alla frase latina “Noli equi dentes inspicere donati”, letteralmente “non ispezionare i denti di un cavallo regalato”.
San Girolamo, teologo romano, tradusse un’opera dal greco al latino a titolo completamente gratuito e usò questa frase per difendersi dalle accuse di scarsa erudizione rivoltegli da altri autori più preparati di lui.
Perché si utilizza il cavallo? In passato, possedere un cavallo era fonte di ricchezza oltre che indice di un certo stato sociale.
Leggenda vuole che un giorno un giovane campagnolo sia stato mandato dal padre in paese a comprare un cavallo, l’uomo raccomandò al figlio di osservare bene la dentatura dell’animale prima di procedere con il pagamento, in modo da non sbagliarsi. Il giovane capì che più un cavallo aveva denti, più era vecchio. Un mercante propose un cavallo al giovane, egli contò 40 denti (tanti sono i denti di un cavallo adulto) e indignato nei confronti del mercante disse “Mi volete imbrogliare! Vendermi un cavallo di quarant’anni!”. Un animale giovane ha una valutazione superiore rispetto a uno vecchio, quel che non sapeva il ragazzo è che l'età di un cavallo si giudica guardando lo stato della sua dentatura, e non il numero dei denti.
Dunque, se in passato una persona avesse controllato la dentatura di un cavallo regalato, sarebbe risultata estremamente scortese perché avrebbe messo in dubbio il valore del dono; giovane o vecchio che fosse, il solo fatto di aver ricevuto in dono un cavallo poteva ritenersi un privilegio sufficientemente grande.
Questo modo di dire è utilizzato quando la persona che riceve il regalo, anziché ringraziare, osserva i difetti del dono in modo critico. Fa capire l’importanza di non giudicare a prima vista e di apprezzare in ogni caso i regali ricevuti, nonostante il poco valore o se lontani dal nostro gusto, è il gesto in sé il vero valore.
2 - AVERE LA CODA DI PAGLIA
Una favola di Esopo narra la sventura di una volpe che rimase intrappolata in una tagliola.
Sofferente e impaurita la bestiola riuscì in gran parte a liberarsi, ma durante la fuga la coda fu deturpata dalla morsa, tanto che la volpe rimase menomata e priva della sua bellezza. La poverina si vergognava così tanto che gli altri animali, suoi amici, decisero di farle una coda di paglia. La coda era così bella che, chi non sapeva della disgrazia, non avrebbe mai potuto sospettare fosse finta!Un giorno, però il gallo si lasciò sfuggire il segreto e la notizia si diffuse ovunque! Fu così che i contadini, per proteggere i pollai, accesero dei fuochi di fronte alle stie. Da quel giorno la volpe, temendo di bruciarsi la coda e di essere quindi scoperta, non poté più cacciare né avvicinarsi alle case.
Gli stati d'animo che caratterizzano chi ha la coda di paglia sono la consapevolezza del proprio errore, la vergogna e la diffidenza verso gli altri che possono rendere pubblica la colpa, aggravando il senso di umiliazione. Avere la coda di paglia è perciò il timore di esporsi per nascondere una colpa o difetto su cui si teme che gli altri possano infierire!
3 - DARSI ALL’IPPICA
Questo modo di dire deriva da un evento storico avvenuto durante il periodo fascista.
Siamo nel 1931 ed Achille Starace, in veste ufficiale, doveva presenziare ad un convegno di medicina. Arrivò all’appuntamento con circa un’ora di ritardo. Di fronte ai medici, visibilmente irritati per il ritardo, Starace invece di scusarsi dichiarò che non avrebbe potuto rinunciare alla sua cavalcata; amante della vita sportiva, pare che esortasse i presenti a uno stile di vita più attivo: “Fate ginnastica e non medicina. Abbandonate i libri e datevi all’ippica”; con questa frase intendeva dire che era preferibile una vita sportiva e all'aria aperta piuttosto che una vita di studi e libri.
Secondo alcuni, "datti all'ippica" (ossia allo sport dell'equitazione) è un’espressione “inventata” dal poeta napoletano Giovan Battista Marino nel ’600: consigliava di darsi all’ippica ai poeti incapaci, secondo lui, di comporre versi intelligenti. A quell’epoca, infatti, lavorare nell'ambiente dei cavalli era considerato un mestiere umile.
Perciò, questo modo di dire è utilizzato quando si considera una persona incapace a fare qualcosa e per consigliare un cambio di mestiere visti i disastrosi risultati ottenuti. L’invito sottointende un giudizio negativo nei confronti della persona cui ci si rivolge
4 - APPENDERE LE SCARPE AL CHIODO
In generale si adopera questa espressione quando si parla di un campione che interrompe la sua attività agonistica, ma anche quando si vuole porre fine ad una consuetudine.
L’origine dell’espressione è da ricercarsi non tanto nell’attività calcistica (o comunque sportiva) quanto ai gladiatori.
Nell’antica Roma, i gladiatori erano costretti a combattere per la propria vita; usavano varie armi tra cui il gladio, una spada con lama corta e larga, da cui presero appunto il loro nome, i gladiatori. Le lotte tra uomini e a volte anche contro animali, erano cruente e purtroppo solo i migliori riuscivano a sopravvivere. Il detto “appendere le scarpe al chiodo” affonda le sue origini da un rito che avveniva in quel tempo e che aveva un grande significato: la conquista della libertà. Come racconta Orazio e come abbiamo avuto modo di vedere anche nel celebre film “Il Gladiatore”, i gladiatori romani divenuti liberi, per volontà imperiale o per popolarità, dedicavano le loro armi al dio Ercole (venerato come protettore per la sua forza). Appendevano ciò che sempre li aveva accompagnati e li aveva aiutati nei loro combattimenti - le proprie armi - appendendole al chiodo posto su una parete del Tempio a lui dedicato, proprio per sancire il ritiro dall’attività e la fine di una carriera.
Le scarpe per l’atleta simboleggiano qualcosa che gli è appartenuto e con cui hanno condiviso gioie e dolori della propria carriera, come furono le armi per i gladiatori.
Al termine della propria attività agonistica il rito di appenderle nello spogliatoio, rappresenta la fine di un’epoca, di un periodo.
Le scarpe rimarranno appese per non essere più utilizzate ma le sfide, le fatiche, le gioie, rimarranno per sempre. Così, anche oggi, il ciclista che finisce la sua carriera appende la bicicletta al chiodo, ed altrettanto fa il pugile con i suoi guantoni.
5 - ACQUA IN BOCCA!
L’origine di questa particolare espressione, sembrerebbe arrivare da un curioso aneddoto di un lessicografo di Firenze, Pietro Giacchi.
Una donna molto devota ma allo stesso tempo particolarmente pettegola, un giorno andò dal prete per confessare questo suo peccato, e gli chiese di offrirle una soluzione in merito.
Il saggio chierico, risultate inutili preghiere e devozioni, le donò un’ampolla che conteneva dell’acqua proveniente da un pozzo e disse alla donna che ogni volta che aveva l’istinto di parlare a sproposito, avrebbe dovuto far cadere alcune gocce di quell’acqua dentro la bocca, e di tenerle lì senza berle il tempo necessario finché non le sarebbe passata la voglia di sparlare di altre persone.
La signora ringraziò il prete e, per quanto può sembrare incredibile, riuscì a rispettare il patto, tanto che iniziò a pensare che quell’acqua avesse veramente il potere miracoloso di farla guarire dal dire maldicenze.
Da questo aneddoto, quindi, si ritiene che sia venuto fuori il significato del modo di dire “Acqua in bocca” quando si consiglia di mantenere un segreto o una particolare confidenza.